Una ricerca condotta dall’I.R.C.C.S. Neuromed, in collaborazione con l’Università Sapienza di Roma e altri centri internazionali, ha evidenziato come un particolare recettore nervoso, mGlu3, possa avere un’azione protettiva nell’evoluzione della malattia di Parkinson. Pubblicato sulla prestigiosa rivista npj Parkinson’s Disease, lo studio suggerisce una strada innovativa per approcci terapeutici più efficaci.
Il recettore mGlu3, che appartiene al gruppo dei Recettori Metabotropici per il Glutammato, è stato studiato sia in modelli animali che in pazienti umani. Per quanto riguarda i primi, i ricercatori hanno esaminato topi cosiddetti “knockout”, geneticamente privi di questo recettore, confrontandoli con topi nei quali il recettore era normalmente funzionante. Tutti gli animali sono stato esposti a una specifica sostanza, MPTP, che riproduce molti aspetti fisiologici del Parkinson. I risultati dell’esperimento hanno mostrato che gli animali privi di mGlu3 avevano un livello di danno neuronale e di infiammazione cerebrale più grave rispetto ai topi normali.
Successivamente sono state analizzate varianti del gene che codifica per l’mGlu3 (GRM3) in oltre 700 pazienti con Parkinson, messi a confronto con 800 partecipanti al Progetto Epidemiologico Moli-sani che non erano affetti dalla patologia. Alcune delle varianti genetiche sono risultate legate a sintomi più gravi nei pazienti, sia di tipo motorio che cognitivo, mentre nei test di plasticità cerebrale (che misurano la capacità del cervello di adattarsi) i pazienti portatori delle varianti mostravano risposte ridotte. Nei partecipanti sani, invece, non sono state osservate alterazioni significative, suggerendo che le varianti esercitino il loro effetto negativo principalmente in presenza della malattia.
“Secondo i nostri dati – dice la dottoressa Luisa Di Menna, Ricercatrice del Laboratorio di Neurofarmacologia dell’IRCCS Neuromed e prima autrice dello studio – i recettori mGlu3 possono influenzare la vulnerabilità delle cellule nervose, nonché le risposte infiammatorie, nel corso della malattia di Parkinson. Questo ci fa pensare a nuove strade terapeutiche che possano agire su quel recettore in modo da rallentare la progressione della patologia”.
“I nostri risultati aprono la possibilità di sviluppare farmaci innovativi mirati a ridurre il danno neuronale – commenta il professor Giuseppe Battaglia – Professore Associato di Farmacologia presso l’Università Sapienza di Roma e componente del laboratorio di Neurofarmacologia dell’IRCCS Neuromed – Ma dobbiamo anche considerare che questo recettore non è solo un potenziale bersaglio terapeutico: è anche una chiave per comprendere meglio i meccanismi molecolari alla base della neurodegenerazione”.
“Da un punto di vista genetico – aggiunge la dottoressa Teresa Esposito, Primo Ricercatore presso l’Istituto di Genetica e Biofisica del CNR di Napoli, Responsabile del laboratorio CNR presso l’I.R.C.C.S. Neuromed e Coordinatrice della Biobanca Parkinson nello stesso istituto – i risultati dello studio confermano l’importanza della componente genetica, non solo nel definire l’insorgenza della patologia ma anche nel modulare la complessa sintomatologia associata alla malattia di Parkinson”.
Secondo il professor Alfredo Berardelli, Professore Emerito di Neurologia presso l’Università la Sapienza di Roma e Coordinatore dell’Unità di Ricerca e di Neurofisiologia Clinica dell’I.R.C.C.S. Neuromed, “Questa ricerca ci avvicina alla medicina di precisione, consentendo di identificare pazienti con caratteristiche genetiche specifiche che potrebbero rispondere meglio a terapie mirate. Il nostro obiettivo è fornire trattamenti sempre più personalizzati ed efficaci, adattati alle esigenze di ciascun paziente”.
“Lo studio – commenta il professor Ferdinando Nicoletti – Professore Ordinario di Farmacologia presso l’Università Sapienza di Roma e Responsabile del Laboratorio di Neurofarmacologia dell’IRCCS Neuromed, suggerisce che i recettori mGlu3 sono coinvolti nella fisiopatologia della malattia regolando sia i meccanismi di neurodegenerazione/neuroprotezione e sia la plasticità corticale. I nostri risultati sono promettenti e potrebbero gettare le basi per una nuova strategia terapeutica volta a rallentare la progressione della malattia di Parkinson”.